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Per Aspera Ad Veritatem n.9
Corte Suprema di Australia

Sentenza del 19.11.1982 nella causa promossa dalla Chiesa di Scientology contro Albert Edward Woodward, Direttore dell'Australian Security Intelligence Organization, ed altri (settembre 1980, novembre 1982)





Giudice Wilson (10 settembre 1980)
La Chiesa di Scientology Incorporated e Peter James Fowler, per suo conto e per conto degli altri membri della Chiesa di Scientology Inc., hanno citato in giudizio l'On. Albert Edward Woodward, Direttore Generale dell'Australian Security Intelligence Organization (ASIO) alla data della presentazione della denuncia, il Ministro della Giustizia per il Commonwealth ed il Commonwealth di Australia.
Il primo querelante è un'associazione registrata nel 1969 secondo le leggi dell'Australia Meridionale. è stata ed è un'organizzazione religiosa impegnata nell'esercizio, la promozione, la diffusione, l'insegnamento e l'applicazione della religione di Scientology. Il secondo querelante è un membro della suddetta associazione ed un seguace praticante della religione di Scientology; egli sporge denuncia per suo conto e per conto di tutti i membri del primo querelante.
I querelati sono il Direttore Generale della Sicurezza, che dirige l'Australian Security Intelligence Organization (ASIO), il Ministro della Giustizia, che è il Ministro dello Stato responsabile per l'ASIO ed il Commonwealth di Australia.
Due leggi emesse dal Parlamento del Commonwealth sono rilevanti in relazione alla dichiarazione di denuncia: l'Australian Security Intelligence Organization Act del 1956 (Act 1956) che ha confermato l'esistenza dell' "Australian Security Intelligence Organization", già istituita con direttiva del Primo Ministro, il 16 marzo 1949, e ne ha fissato i compiti. Tale legge è stata sostituita a partire dal 1° giugno 1980 dall'Australian Security Intelligence Organization Act del 1979 (Act 1979), che ha nuovamente confermato l'esistenza dell'ASIO, definendo tuttavia in modo più articolato i suoi compiti.
Nella dichiarazione di denuncia i querelanti sostengono che il Direttore Generale dell'ASIO precedentemente e successivamente alla data del 1 giugno 1980 ha disposto affinché:
- l'ASIO ottenesse, correlasse e valutasse informazioni iniziali relative ai querelanti e comunicasse tali informazioni a terzi;
- continuasse tale attività informativa nonostante il fatto che l'iniziale raccolta di informazioni avesse stabilito, o avrebbe dovuto stabilire, che non si trattava di informazioni rilevanti ai fini della sicurezza;
- definisse i querelanti in termini di "rischio per la sicurezza", e
- comunicasse tale definizione a terzi.
Nella dichiarazione di denuncia si afferma altresì che i querelanti non rispondevano alla definizione di "rischio per la sicurezza" e, quindi, ai sensi dell'Act 1956, dell'Act 1979, e dell'art. 70 del Crimes Act del 1914, l'ASIO non aveva facoltà, a meno che tale definizione non avesse risposto a verità, di proseguire nella raccolta, correlazione, valutazione e trasmissione di tali informazioni a terzi.
Inoltre, in aggiunta, i querelanti denunciano l'operato del Direttore Generale, del Ministro della Giustizia, i quali avendo fatto sì che l'ASIO operasse nei modi suddescritti hanno esercitato il potere esecutivo del Commonwealth ai sensi dell'art. 61 della Costituzione, ma tale potere esecutivo non autorizza siffatta condotta.
I querelanti denunciano inoltre il Direttore Generale per non aver agito in conformità con il disposto dell'art. 20 dell'Act 1979.
Anche qualora tale operato fosse in conformità con le leggi di cui sopra, tuttavia ove tali leggi proibiscono il libero esercizio dei culti, risultano in contrasto con l'art. 116 della Costituzione.
I querelanti pretendono tra l'altro dichiarazione di illegalità per l'operato degli imputati ed un'ingiunzione di sospensione di ogni attività di siffatta natura.
I querelati sostengono che tale dichiarazione di denuncia non contiene un fondamento valido per un'azione legale, in ragione del fatto che dalla articolazione stessa dei due testi di legge summenzionati, si evince l'intento del legislatore di sottrarre l'operato dell'ASIO alla giurisdizione della magistratura e per questo motivo il ricorso deve essere annullato.
I querelanti richiedono invece specificatamente che la Corte Suprema emetta Dichiarazioni nelle quali si affermi che precedentemente al 1° giugno 1980:
- l'ASIO non aveva facoltà di continuare a raccogliere, correlare e valutare informazioni, eccezion fatta per quelle rilevanti ai fini della sicurezza ai sensi dell'Act 1956, dopo che indagini iniziali avevano stabilito o, avrebbero dovuto stabilire, che tali informazioni non erano rilevanti ai fini della sicurezza ai sensi dell'Act 1956;
- l'ASIO non aveva facoltà di trasmettere informazioni a terzi, eccezion fatta per informazioni di rilevanza ai fini della sicurezza ai sensi dell'Act 1956;
- l'ASIO non aveva facoltà di comunicare a terzi il fatto che l'ASIO stessa aveva definito i querelanti in termini di "soggetti dai quali il Commonwealth ed i Territori dovevano essere protetti in relazione ad atti di spionaggio, sabotaggio o eversione", a meno che tale definizione non avesse risposto a verità;
- dopo che indagini iniziali avevano stabilito o, avrebbero dovuto stabilire, che tali informazioni non erano rilevanti ai fini della sicurezza ai sensi dell'Act 1956, la prosecuzione dell'attività di raccolta, correlazione e valutazione di informazioni da parte dell'ASIO relativamente ai querelanti ed ai membri del primo querelante era illegale;
- informazioni relative ai querelanti, eccezion fatta per informazioni indicanti che non si trattava di "soggetti dai quali il Commonwealth ed i Territori dovessero essere protetti in relazione ad atti di spionaggio, sabotaggio o eversione", non potevano essere comunicate a terzi;
- la comunicazione a terzi da parte dell'ASIO di informazioni indicanti che il primo querelante ed i suoi membri erano "soggetti dai quali il Commonwealth ed i Territori dovessero essere protetti in relazione ad atti di spionaggio, sabotaggio o eversione", era illegale;
- il potere esecutivo del Commonwealth non autorizzava le azioni descritte nei sottocomma 7(b) e (c).
I querelanti richiedono Dichiarazioni nelle quali si affermi che:
- l'ASIO non ha facoltà di proseguire nella raccolta, correlazione e valutazione di informazioni se non di quelle rilevanti ai fini della sicurezza ai sensi dell'Act 1979, dopo che indagini iniziali hanno stabilito, o avrebbero dovuto stabilire, che tali informazioni non sono di rilevanza ai fini della sicurezza ai sensi dell'Act 1979;
- l'ASIO non ha facoltà di trasmettere alcuna informazione a terzi, se non nel caso in cui si tratti di informazioni rilevanti ai fini della sicurezza ai sensi dell'Act 1979, nonché informazioni relative ai reati ed alle questioni descritte nell'art. 18 (3° comma) dell'Act 1979;
- l'ASIO non ha facoltà di comunicare a terzi il fatto che l'ASIO stessa ha definito persone in termini di "soggetti dai quali il Commonwealth ed i vari Stati e Territori e le loro popolazioni debbano essere protetti in relazione ad atti di spionaggio, sabotaggio, eversione, ingerenza straniera e terrorismo o che hanno commesso o intendono commettere i detti reati", se non nel caso in cui tale definizione risponda a verità;
- dopo che indagini iniziali hanno stabilito, o avrebbero dovuto stabilire, che tali informazioni non sono di rilevanza ai fini della sicurezza ai sensi dell'act 1979, la prosecuzione nella raccolta, correlazione e valutazione di informazioni relative ai querelanti e dei membri del primo querelante da parte dell'ASIO è illegale;
- informazioni relative ai querelanti, se non che non si tratta di "soggetti dai quali il Commonwealth e i vari Stati e Territori e le loro popolazioni debbano essere protetti in relazione ad atti di spionaggio, sabotaggio, eversione, ingerenza straniera o terrorismo" non possono essere comunicate a terzi;
- la comunicazione da parte dell'ASIO di informazioni che definiscono i querelanti in termini di "soggetti dai quali il Commonwealth, i vari Stati e Territori e le loro popolazioni debbano essere protetti in relazione ad atti di spionaggio, sabotaggio, eversione, ingerenza straniera o terrorismo, o che hanno commesso o intendono commettere tali reati", è illegale;
- che il potere esecutivo del Commonwealth non autorizza gli atti descritti nei sottocomma 7A(b) e (c).
I querelanti richiedono poi:
- un'Ingiunzione che proibisca agli imputati di continuare ad agire così come descritto nei sottocomma 7A(b) e (c);
- un'Ordinanza che obblighi gli imputati a svolgere i propri compiti così come descritti nell'art. 20 dell'Act 1979, prendendo provvedimenti affinché "l'attività dell'ASIO sia limitata a quanto è necessario per l'espletamento dei suoi compiti, e che l'ASIO non sia assoggettata ad influenze o considerazioni non attinenti i suoi compiti, e che nulla venga fatto che possa dare adito a sospetti che l'ASIO protegga o favorisca interessi di un settore specifico della comunità, oppure che si occupi di questioni che esulano dai suoi compiti istituzionali";
- una Dichiarazione nella quale si affermi che qualora, e nei termini in cui, l'Act 1956 conferisse al primo querelato facoltà di agire così come descritto nei sottocomma 7(b) e (c), si tratterebbe di una legge che proibisce il libero esercizio dei culti e che travalica quindi i poteri del Commonwealth ai sensi del disposto dell'art. 116 della Costituzione;
- una Dichiarazione nella quale si affermi che qualora, e nei termini in cui, l'Act 1979 conferisse al primo querelato facoltà di agire come descritto nei sottocomma 7(b) e (c), si tratterebbe di una legge che proibisce il libero esercizio dei culti e che travalica quindi i poteri del Commonwealth ai sensi del disposto dell' art. 116 della Costituzione.
Questo e quanto altro la Corte ritenga appropriato.
Il Ministro della Giustizia sostiene che la discrezionalità implicita nell'art. 17(1) dell'ASIO Act 1979 non può essere sottoposta a vaglio giudiziario. L'ASIO in quanto organizzazione non statutaria è posta sotto il controllo del Direttore Generale proprio al fine dell'espletamento dei compiti conferitigli dall'art. 17 (1° comma) della legge. Le decisioni con le quali tali compiti vengono indirizzati e controllati sono quindi necessariamente fondate sul suo giudizio, e questo è ulteriormente sottolineato dall'art. 8 che pone il parere del Direttore Generale in relazione alla raccolta ed alla trasmissione di informazioni da parte dell'ASIO al di fuori del controllo ministeriale. L'art. 20 deve essere considerato un'indicazione per il Direttore Generale e non una prescrizione di un diritto giuridico del soggetto che può difendersi richiedendo Dichiarazioni o Ingiunzioni da parte di un tribunale.
Il Ministro della Giustizia, in relazione alla prosecuzione della raccolta e trasmissione delle informazioni, sostiene che anche ove fosse possibile definire la prima di tali operazioni come estranea alla funzione precipua dell'ASIO, tuttavia ciò non renderebbe tale condotta illegale. Parimenti, l'accusa di comunicazione illecita di informazioni non è contemplata da alcuno statuto o legislazione, a meno che non si tratti di dichiarazioni diffamatorie.
Posso dire che trovo difficile non riconoscere all'ASIO una funzione istituzionale ai sensi del sottocomma 17(1)(a) nel suo continuare a "raccogliere, correlare e valutare informazioni di rilevanza ai fini della sicurezza", in quanto informazioni iniziali possono stabilire che una persona o gruppo non rappresentava in un dato momento un rischio per la sicurezza, è tuttavia possibile che le circostanze mutino ed io non posso accettare il fatto che un'iniziale "clearance" protegga poi una persona o gruppo o organismo da ulteriore esame.
Ritengo che ai fini della risoluzione del caso vadano tenuti presenti:
- l'art. 17 dell'ASIO Act 1979, ove l'espletamento dei compiti dell'ASIO è sottoposto in ogni sua fase al vaglio di controllo da parte del Direttore Generale;
- l'art. 20 che ha carattere di indicazione di strategia piuttosto che di vincolo giuridico;
- l'esistenza di motivazioni che prevedono l'emissione di mandati che autorizzano l'esercizio da parte dell'ASIO di poteri speciali. Tale punto non mi sembra possa essere sottoposto al vaglio di una corte di giustizia in quanto tale emissione viene espressamente vincolata all'approvazione ministeriale quale conditio sine qua non;
- l'esplicita previsione di una forma di vaglio giudiziario per un unico aspetto delle operazioni dell'ASIO e cioè la comunicazione ad un'agenzia del Commonwealth di un parere di sicurezza "sfavorevole" (adverse) o "riservato" (qualified);
- la legislazione indica chiaramente l'affidamento che si fa sull'integrità e competenza del Direttore Generale affinché assicuri che l'ASIO agisca in conformità con i principi della sua legge istitutiva.
In relazione a quanto richiesto dai querelanti in connessione con la legge del 1956, basterà qui dire che l'art. 5 (1° comma) espressamente prevede che la trasmissione di informazioni sia sottoposta alla "discrezionalità del Direttore Generale". Questo fatto, insieme con la forte corrispondenza nella sostanza tra i due testi di legge, pur con i più ampi dettagli della legge del 1979, mi porta a sostenere che la legge del 1956 non espone le funzioni dell'ASIO all'esame giudiziario. Sono convinto di questa mia conclusione alla luce di ulteriori considerazioni che mi portano a ritenere che anche il continuare la raccolta di informazioni ed il comunicarle a terzi, precedentemente al 1° giugno 1980, non sia stato illegale.
La mia valutazione delle richieste delle parti mi ha portato alla ferma conclusione che le richieste dei querelanti non possono essere soddisfatte, ritengo appropriato accogliere la richiesta degli imputati. La denuncia è respinta e l'azione archiviata con le spese a carico dei querelanti.
I querelanti hanno presentato ricorso contro la decisione del Giudice Wilson, hanno richiesto che si pronunci l'Intera Corte.
Giudice Gibbs (19 novembre 1982)
I querelanti non contestano la validità dell'Act 1979. Essi sostengono che tale legge proibisce all'ASIO di raccogliere, correlare o valutare informazioni, a meno che esse non siano di rilevanza ai fini della sicurezza intesa ai sensi della legge; sostengono inoltre che tali informazioni non sono di rilevanza ai fini della sicurezza se riguardano un soggetto che non rappresenta un rischio per la sicurezza. Viene concesso all'ASIO di poter effettuare indagini iniziali, ma viene sostenuto che una volta che tali indagini abbiano stabilito, così come avrebbero dovuto stabilire, che le informazioni non sono di rilevanza per la sicurezza, l'ASIO non può procedere nell'ulteriore raccolta di informazioni a meno che queste non siano di rilevanza per la sicurezza. Viene anche sostenuto che l'ASIO non ha facoltà di trasmettere a terzi informazioni che non siano effettivamente di rilevanza per la sicurezza, o prove relative a questioni secondo quanto specificato nell'art. 18 (3° comma). Viene inoltre sostenuto che l'ASIO non può comunicare a terzi il fatto che ha definito una persona come "un soggetto dal quale il Commonwealth ed i vari Stati e Territori e le loro popolazioni debbano essere protetti in relazione ad atti di spionaggio, sabotaggio, eversione, ingerenza straniera o terrorismo, (quindi in termini di rischio per la sicurezza) o che abbia commesso o sia in procinto di commettere uno dei reati menzionati nell'art. 18 (3° comma), a meno che tale definizione non risponda a verità.
L'interpretazione dell'art. 17 (1° comma), che i querelanti sostengono, appare assurda ed inapplicabile. E' ovvio che informazioni che non giungono fino a definire che un soggetto rappresenta un rischio per la sicurezza, possano tuttavia essere di rilevanza per la sicurezza. Un'informazione che, di per sé, potrebbe sembrare insignificante per la sicurezza può, se unita ad altre informazioni, assumere significati di importanza vitale. La raccolta informativa non sempre parte da "indicazioni buone", a volte si comincia a raccogliere informazioni nella speranza che portino ad altro, o che diventino esse stesse rilevanti per la sicurezza. Informazioni di oggi possono indicare che un soggetto è un "cittadino onesto", ulteriori informazioni raccolte domani potrebbero dimostrare che è coinvolto in azioni di spionaggio o di eversione.
Non vi è nulla nell'Act 1979 che può indurre a concludere che l'ASIO deve interrompere l'attività informativa se non stabilisce immediatamente che un soggetto rappresenta "un rischio per la sicurezza". Per concludere, può essere rilevante per la sicurezza anche stabilire che un soggetto non rappresenta un rischio per la sicurezza.
Tali considerazioni portano a concludere che non era nelle intenzioni del legislatore dare facoltà ad un tribunale di decidere se l'operato dell'ASIO sia o meno in conformità con la sua funzione istituzionale, nel caso in cui non vi sia cattiva fede e non siano stati violati diritti della persona. A tal fine è importante sottolineare che l'art. 17 dell'Act 1979 non conferisce poteri né impone doveri all'ASIO, ne definisce semplicemente i compiti. In questo caso non ritengo che si possa affermare che vi sia stato un abuso di potere statutario, né un'inadempienza ad un dovere statutario.
Ritengo che la legislazione non dia facoltà al potere giudiziario di decidere sull'opportunità o meno che l'ASIO raccolga informazioni specifiche. Secondo il disposto dell'art. 20 della legge, il Parlamento richiede al Direttore Generale di vagliare ogni elemento affinché l'operato dell'ASIO venga limitato a quanto è necessario per l'espletamento dei suoi compiti. Il Direttore Generale è quindi posto in una posizione speciale e neanche il Ministro può sindacare il suo parere relativamente alla giustificazione o meno di una data attività di raccolta informativa. Vi sono esplicite procedure di controllo dell'attività dell'ASIO vds Titolo IV) ed è istituito un Tribunale speciale, per l'esame dei pareri di sicurezza, le cui sedute si svolgono a porte chiuse e dove le prove vengono presentate da una delle parti in assenza dell'altra.
E' mia opinione che il Parlamento ha inteso porre l'operato dell'ASIO, che necessariamente richiede riservatezza, sotto il controllo del Direttore Generale e non dell'autorità giudiziaria, nei casi in cui non vi sia cattiva fede e non siano stati violati diritti individuali.
In relazione alla trasmissione di informazioni, non si può parlare di condotta illecita (vds. art. 18, 2° comma) quando le informazioni vengono comunicate da un funzionario dell'ASIO nell'ambito dei limiti di autorità conferitagli dal Direttore Generale, od a seguito di approvazione da parte del Direttore Generale, o di un funzionario dell'ASIO autorizzato dal Direttore Generale in tal senso. Naturalmente, questa disposizione non impedisce che il Direttore Generale, o un funzionario da lui autorizzato, comunichi qualunque informazione il Direttore Generale autorizzi a comunicare. L'art. 18 (3° comma) consente la trasmissione, per scopi non attinenti la sicurezza, da parte del Direttore Generale, o di un funzionario all'uopo autorizzato, di informazioni di cui l'ASIO sia entrata in possesso nel corso della sua attività. Ciò suggerisce che l'intenzione del Parlamento era di far sì che il Direttore Generale non autorizzasse la comunicazione di informazioni se non per scopi attinenti la sicurezza, o nelle circostanze definite nell'art. 18 (3° comma). Tuttavia non consegue che tali informazioni debbano essere di per se stesse rilevanti per la sicurezza nell'interpretazione data dai querelanti. In tal senso è stato fatto riferimento all'art. 70 del Crimes Act 1914, ma tale articolo trova applicazione soltanto nel caso di rivelazione, da parte di un funzionario, di informazioni che egli ha il dovere di non rivelare. Né l'Act 1979, né il Crimes Act impongono ad un funzionario dell'ASIO di non rivelare informazioni solo perché, nell'opinione della Corte, non erano di rilevanza ai fini della sicurezza o riguardavano un soggetto non definibile in termini di "rischio per la sicurezza".
L'altro punto relativo al fatto che l'ASIO non può definire un soggetto in termini di "rischio per la sicurezza" non trova riscontro nell'Act 1979, e qualora venisse accolto darebbe, in effetti, un diritto di appello contro ogni conclusione formulata dall'ASIO.
La questione al centro del presente caso è stabilire se rientri nelle facoltà del Parlamento emanare una legge che: istituisce un'agenzia governativa per la tutela della sicurezza; le dà facoltà di raccogliere, correlare e valutare intelligence di rilevanza ai fini della sicurezza; di comunicare tale intelligence per fini attinenti la sicurezza e per quelli enunciati nell'art. 18 (3° comma), anche nel caso in cui una informazione può di per se stessa apparire ad una Corte come non rilevante ai fini della sicurezza o, anche nel caso in cui l'intelligence disponibile in un dato momento, considerata da sola, porterebbe a non definire il soggetto, cui l'intelligence si riferisce, in termini di "rischio per la sicurezza".
Per la ragione data, se la Costituzione non desse al Parlamento facoltà di emanazione di una legge di siffatta natura, ciò significherebbe che il Parlamento non può autorizzare alcuna forma di attività informativa.
I querelanti sostengono altresì che, nel suo operato, l'ASIO ha travalicato il potere esecutivo conferitogli ai sensi della art. 61 della Costituzione. In questo caso ritengo che la questione non si ponga, in quanto i poteri esecutivi esercitati dall'ASIO le sono stati conferiti da legislazione elaborata dal Parlamento.
Concordo con il Giudice Wilson. In nessun senso le richieste dei querelanti possono essere accolte. Respingo pertanto il ricorso.
Giudice Mason
La decisione del Giudice Wilson si fonda sulla dichiarazione presentata allora dal Ministro della Giustizia per il Commonwealth secondo la quale dalle due leggi (Act '56 e Act '79) "si evince l'intento del legislatore di sottrarre la condotta dell'ASIO all'esame giudiziario se non nei casi di azioni compiute e/o decisioni prese in mala fede o illecitamente".
Ma, qualora il Parlamento intenda prendere provvedimenti radicali al fine di eliminare il vaglio del potere giudiziario, allora è ragionevole supporre che esprima tale intenzione con chiarezza e direttamente, assumendosi la responsabilità delle conseguenze.
Guardando invece alla legge del 1979, si evince che essa non prefigura l'ASIO come entità dotata di personalità giuridica. Non vi sono disposizioni relative alla "incorporation", alla successione, alla proprietà di beni, alla partecipazione a transazioni, all'impiego di personale ed alla capacità di essere citata e di citare in giudizio. Non vi è quindi alcun fondamento valido per affermare che l'ASIO sia una persona giuridica.
L'ASIO appare come un dipartimento del Governo esecutivo, posto sotto il controllo del Direttore Generale, il cui personale è composto da dipendenti della Corona. è tuttavia particolare: la legge del '79 lo designa con un nome collettivo, ne conferma l'esistenza e ne definisce dettagliatamente le funzioni. Tuttavia tali caratteristiche non sono sufficienti a corroborare la conclusione che si tratti di una persona giuridica indipendente dal governo esecutivo, o che possa citare o essere citata in giudizio.
In relazione all'esercizio del potere esecutivo da parte dell'ASIO, è necessario distinguere tra le sue attività statutarie e quelle che travalicano le sue funzioni istituzionali, non vedo motivo per non ritenere che una persona che abbia motivo di lagnanza per esser stata influenzata negativamente da attività non autorizzate possa ottenere riconoscimento con Dichiarazioni o Ingiunzioni. Vi è una precisa distinzione che va operata tra atti che non sono autorizzati ed atti che sono illegali. L'art. 17 non contiene una proibizione per lo svolgimento di attività che esulano dalle funzioni istituzionali descritte nel comma 17(1). Tale articolo definisce le funzioni dell'ASIO come autorizzate o non autorizzate. Rappresenta l'unica carta completa delle attività dell'Organizzazione e come tale limita effettivamente le attività in cui l'ASIO in quanto dipartimento governativo può impegnarsi. Nel Titolo IV della legge è previsto che un individuo può rivolgersi, per ricorsi attinenti le attività dell'Organizzazione, ad un Tribunale d'Appello per la Sicurezza, le cui decisioni non sono soggette al vaglio di alcuna altra corte. Non vi è dubbio che da queste disposizioni si evince una forte preoccupazione di proteggere la riservatezza di informazioni concernenti la sicurezza.
Eppure io non ritengo che questo o il desiderio di proteggere le valutazioni di sicurezza e le sentenze del Tribunale dall'esame giudiziario evidenzi una più ampia volontà di proteggere tutte le attività dell'ASIO dall'esame giudiziario. Ritengo che la lettura dell'art. 17 nel senso auspicato dal Ministro della Giustizia rappresenti un abuso, sembrerebbe che le funzioni dell'ASIO siano state trasformate nella conduzione di quelle attività che nell'opinione del Direttore Generale sono rilevanti ai fini della sicurezza. L'art. 8 (2° comma), non delimita le funzioni dell'ASIO, ma definisce esclusivamente i rapporti tra il Ministro ed il Direttore Generale proteggendo l'ASIO dall'interferenza politica.
Nessuno mette in dubbio il danno che potrebbe conseguire dalla rivelazione di informazioni sulla sicurezza in un'aula giudiziaria, ma ciò non significa che le attività dell'ASIO debbano essere completamente esenti dall'esame giudiziario. Chi giungesse a tale conclusione ignorerebbe la protezione che la dottrina del privilegio della Corona offre ad informazioni la cui rivelazione porterebbe danno alla sicurezza nazionale.
Ed ora vengo al punto per me focale: una cosa è dire che informazioni rilevanti ai fini della sicurezza non possono essere direttamente vagliate e valutate in un'aula giudiziaria, ma altra cosa è affermare che l'autorità giudiziaria non può determinare se date informazioni siano rilevanti o meno ai fini della sicurezza e se una comunicazione di informazioni sia stata effettuata "per fini rilevanti per la sicurezza" o meno.
Riprendendo la definizione di "sicurezza" nell'art. 4 si nota che con questo termine si definiscono un'ampia varietà di aspetti. Il contenuto del concetto di sicurezza appare estremamente fluttuante e mutevole a seconda delle circostanze che vengono a crearsi di volta in volta, si può dire che sia simile al concetto costituzionale di "difesa". L'art. 17, comma (1), sottocomma (a) è più specifico del sottocomma (b), nel primo le informazioni raccolte, correlate e valutate devono essere "concernenti la sicurezza"; nel secondo la comunicazione di tali informazioni deve essere "per scopi attinenti la sicurezza". Tale piccola differenza porta tuttavia significato: sarebbe assurdo supporre che il Parlamento abbia voluto con il sottocomma (a) limitare l'ASIO alla raccolta di informazioni che in ultima analisi, alla luce di tutti gli elementi disponibili, si riferiscano ad un soggetto che sia un rischio per la sicurezza. E' nella natura stessa delle cose che un'organizzazione impegnata nel settore della sicurezza riceva di tanto in tanto informazioni, non sempre attendibili, che portano a ritenere che un soggetto possa essere un rischio per la sicurezza. Tali informazioni vanno poi verificate ed approfondite.
Questo significa, con ogni probabilità, ricercare ulteriori informazioni riguardanti il presunto sospetto. Il risultato finale può indicare che il sospetto non rappresenta e non ha mai rappresentato un rischio per la sicurezza, ma questo non significa che le informazioni raccolte non siano di interesse ai fini della sicurezza. Le informazioni sono di interesse ai fini della sicurezza se stabiliscono, o almeno contribuiscono a stabilire, se un soggetto sospettato di essere fonte di rischio per la sicurezza risponde o meno a tale definizione.
Ancora, può accadere che informazioni siano di interesse ai fini della sicurezza soltanto per il fatto che sono state ottenute al fine di stabilire se una persona sospettata o ritenuta pericolosa per la sicurezza sia effettivamente tale.
Quindi, informazioni sono di interesse ai fini della sicurezza se può ragionevolmente ritenersi che abbiano "un'effettiva connessione" con questo tema, giudicato alla luce di quanto è noto all'ASIO in un determinato momento. Questa è una valutazione che un tribunale è certamente in grado di elaborare. In questo caso è onere del querelante provare che le informazioni raccolte non hanno un'effettiva connessione con la sicurezza, infatti come ho già avuto modo di affermare, sebbene una persona non sia di fatto un rischio per la sicurezza, l'ASIO potrebbe, sulla base di informazioni ricevute, credere o sospettare che invece lo sia. Nello stesso modo, informazioni raccolte successivamente possono fornire una base per ritenere che i querelanti abbiano commesso, oppure intendano commettere i reati menzionati nell'art. 18 comma 3 sottocomma (a) e (b), anche se in precedenza non vi erano indicazioni in questo senso.
Se i querelanti non sono in grado di provare che le informazioni ottenute in prima istanza dall'ASIO hanno stabilito che essi non rappresentavano un rischio per la sicurezza e che tali informazioni non avevano attinenza con la sicurezza, come possono pensare di costruire un caso sul fatto che informazioni sul loro conto non hanno e non hanno avuto in nessun momento attinenza con la sicurezza?
Ritengo quindi di non potere accogliere il ricorso.

Giudice Murphy
Nella dichiarazione di denuncia si sostiene che l'ASIO ha agito in contrasto con le disposizioni dell'Act 1979, avendo fatto uso improprio a danno dei querelanti dei poteri ad essa conferiti.
I querelanti hanno quindi richiesto una Dichiarazione della Corte, ma senza alcuna susseguente pretesa di risarcimento danni per la condotta tenuta dall'Organizzazione.
Questo significa inoltrare una richiesta per un parere giuridico senza scopo alcuno e, quindi, dovrebbe essere respinta. Tuttavia, in risposta, il Direttore Generale dell'ASIO ed il Commonwealth sollevano la questione relativa alla possibilità o meno che se ne discuta in un'aula di Tribunale.
La legge del 1979 conferma l'esistenza dell'ASIO, i suoi compiti vengono fissati dall'art. 17 (1° comma). Quale parte del potere esecutivo, l'ASIO ed i suoi membri sono soggetti al controllo amministrativo da parte del Governatore Generale e dei Ministri, i quali devono essere membri del Senato o della Camera dei Deputati, con questo meccanismo viene assicurato il controllo amministrativo.
L'ASIO ed i suoi appartenenti sono soggetti ai vincoli giudiziari che vigono in ogni altro settore del governo esecutivo. Il Parlamento non ha mai inteso "immunizzare" l'ASIO dall'esame giudiziario e costituzionalmente non potrebbe farlo. Secondo la Costituzione, l'attività del Commonwealth e dei suoi funzionari deve comunque essere soggetta al vaglio giudiziario in caso di violazione della legge. L'art. 75 della Costituzione dà a questa Corte giurisdizione esclusiva nei casi di azioni intentate contro il Commonwealth e contro individui citati per conto del Commonwealth. L'art. 75 autorizza inoltre questa Corte ad emettere sentenze contro funzionari del Commonwealth quindi anche contro il Primo Ministro, i Ministri, i Giudici dei Tribunali Federali, i Funzionari di organismi statali ed i dipendenti pubblici federali che sono tutti funzionari del Commonwealth così come lo sono il Direttore Generale, i funzionari e gli impiegati dell'ASIO. Il Ministro della Giustizia, correttamente, non ha sostenuto che le azioni dell'ASIO, dei suoi funzionari ed impiegati potessero esser esentate dall'osservanza delle leggi.
La necessità di controlli è dimostrata dalla storia di queste organizzazioni sia qui che oltre oceano. è caratteristico che di tanto in tanto esse abusino dei loro poteri e l'esperienza australiana non è da considerarsi eccezionale.
Proprio l'esperienza ci ha dimostrato che in una società libera, organizzazioni dedite alla raccolta di intelligence possono esistere soltanto se assoggettate ad una supervisione amministrativa e, ove necessario, al vaglio giudiziario. La legge stessa del '79 include alcune clausole di salvaguardia in caso di abuso da parte di appartenenti all'Organizzazione.
L'art. 20 prevede che "il Direttore Generale prenda ogni provvedimento:
- affinché l'attività dell'ASIO sia limitata a quanto è necessario per l'espletamento dei suoi compiti;
- affinché l'ASIO non sia assoggettata ad influenze o considerazioni non attinenti i suoi compiti, e che nulla venga fatto che possa dare adito a sospetti che l'ASIO protegga o favorisca interessi di un settore specifico della comunità oppure che si occupi di questioni che esulano dai suoi compiti istituzionali".
L'ASIO non è mai stata autorizzata, e costituzionalmente non sarebbe possibile, a fare ciò che ciascuno di noi potrebbe liberamente fare, cioè ricercare informazioni su qualcuno e poi diffonderle.
I poteri conferiti all'ASIO, al suo Direttore Generale e ai suoi appartenenti devono, come tutti i poteri, essere esercitati in buona fede, per gli scopi per i quali sono stati conferiti.
Quindi, nel caso in cui venga accertato che l'ASIO ha violato la legge, l'ASIO ed i suoi membri devono risponderne in un'aula di tribunale e devono riparare secondo quanto previsto dalla Costituzione.
Il problema per i querelanti si pone qui per mancanza di prove, una cosa è affermare una violazione altra cosa è provarla. Devo quindi affermare che se i fatti affermati vengono provati allora il ricorso deve essere accolto.
Uno dei punti della denuncia riguarda il risultato delle indagini iniziali a carico di un soggetto o di un gruppo, nel caso in cui siano state negative allora l'ASIO avrebbe abusato dei suoi poteri nel proseguirle. Questo è chiaramente errato.
I querelanti devono correggere la dichiarazione di denuncia cancellando le affermazioni nei paragrafi 7A e 9A relativi alle informazioni iniziali e le indagini iniziali.
Così il ricorso deve essere accolto.
Giudice Brennan
I compiti dell'ASIO non sono stati lasciati alla libera interpretazione, il Parlamento li ha voluti definire nell'art. 17 della legge istitutiva; non si tratta di disposizioni "facoltative", esse segnano i limiti nell'ambito dei quali deve svolgersi l'attività legittima dell'Organizzazione. Il Parlamento ha inteso fissare in una carta statutaria cosa i membri dell'Organizzazione devono e cosa non devono fare. Il testo di legge indica chiaramente che le energie e le risorse dell'ASIO devono essere utilizzate soltanto per l'espletamento delle funzioni assegnatele.
La giurisdizione di questa Corte nel porre rimedio all'inosservanza di tali disposizioni di legge non va neanche messa in discussione. Precedentemente è stato riconosciuto, giustamente, che le attività dell'Organizzazione non possono non soggiacere al vaglio giudiziario. Visto che la legge, e quindi il Parlamento, stabilisce e limita le funzioni dell'ASIO, negare che un tribunale possa porre rimedio ad un abuso di tali funzioni, significherebbe ignorare la volontà del Parlamento. Ammettere l'esame giudiziario significa far prevalere l'applicazione della legge sull'azione esecutiva, è il mezzo con il quale si previene che l'atto esecutivo travalichi i limiti assegnatigli dalla legge, e si garantisce l'interesse del singolo.
In questo caso, si è sostenuto che la legge impegna l'Organizzazione a definire quali attività intenda svolgere e, visto che tale decisione può comportare errori, allora non deve essere sottoposta a giudizio. Invece, le funzioni dell'Organizzazione sono definite non secondo quello che l'Organizzazione ritiene che debbano essere, bensì secondo quanto stabilito dalla legge. Non vi è dubbio che l'Organizzazione decida di volta in volta se un'azione rientri o meno nell'ambito dei suoi compiti istituzionali, ma tale decisione non è altro che un semplice atto amministrativo volto ad assicurare l'osservanza della legge.
Sebbene sia competenza della Corte decidere se una particolare attività rientri o meno tra le funzioni assegnate all'ASIO dalla legge, tuttavia, un querelante che intenti una causa per vedere attuate le limitazioni statutarie imposte sulle attività dell'Organizzazione incontra enormi difficoltà. Queste scaturiscono dall'inevitabile vaghezza dei termini utilizzati per definire tali compiti e dalle esigenze di riservatezza che necessariamente proteggono le attività ed i programmi di siffatte organizzazioni.
Un querelante che voglia dimostrare che gli appartenenti all'ASIO abbiano agito contro la legge a suo danno, deve provare che essi hanno raccolto informazioni a suo carico che non hanno rilevanza ai fini della sicurezza, o che hanno comunicato tali informazioni a terzi per uno scopo non rilevante ai fini della sicurezza. Per provare tutto questo, un querelante deve essere in grado di dimostrare quale sia il limite di rilevanza nell'ambito del concetto di sicurezza, altrimenti non potrà mai provare che "le informazioni" e "lo scopo" non siano stati rilevanti ai fini della sicurezza.
Nonostante tutti gli sforzi compiuti per dare precisione alla definizione dei compiti dell'Organizzazione, tuttavia vi è una intrinseca flessibilità nel termine "rilevante". Quale sia il grado di rilevanza dovrà certamente dipendere dalla gravità del pericolo dal quale è necessario proteggersi. Allora si potrebbe dire, ma come può la Corte decidere sulla gravità del rischio per la sicurezza? Può essere necessario valutare i rapporti che l'Australia intrattiene con Paesi stranieri, la stabilità degli affari esteri, la possibilità o meno che aderenti ad una certa causa possano optare per i mezzi violenti per sostenerla; può essere opportuno valutare voci e sospetti al pari delle prove. Potrebbe esser ragionevole, o anche necessario, stabilire la gravità di un rischio intuitivamente piuttosto che deduttivamente. Si potrebbe affermare che la competenza ed i procedimenti di una corte non sono adatti a fissare un punto sulla scala della gravità di ogni eventuale rischio che si pensi possa minacciare il Commonwealth, i vari Stati e Territori e le loro popolazioni. Si dovrà accettare il fatto che una corte non disporrà, o non sarà in grado di ottenere tutto quanto necessario a quantificare con precisione un rischio. Tuttavia ribadisco che, anche in questi termini, il vaglio giudiziario non può essere escluso. In particolare sarà compito della Corte decidere, pur tenendo conto delle carenze nella capacità di quantificare il rischio, se il necessario grado di rilevanza per la sicurezza di una certa attività sia stato assente.
In questo senso sarà onere del querelante fornire alla Corte le prove per una decisione in tal senso, ma come è possibile stabilire quali siano le prove sufficienti a dimostrare che l'Organizzazione ha compiuto le attività che egli contesta e che tali attività non rientrano nell'ambito di quanto disposto dall'art. 17 dell'Act 1979? Inoltre, al fine di produrre prove sufficienti il querelante dovrà entrare in possesso di elementi noti solo al Direttore Generale, soltanto questi possono infatti dimostrare che cosa sia effettivamente di rilevanza ai fini della protezione del Commonwealth, degli Stati o Territori e delle loro popolazioni da rischi per la sicurezza, e soltanto in casi eccezionali possono essere resi noti, infatti la segretezza nel lavoro di un'organizzazione informativa è essenziale per la sicurezza nazionale. Anche se il querelante riuscisse ad entrare in possesso di prove relative alle attività dell'Organizzazione, tali prove potrebbero essere inammissibili.
Nonostante queste difficoltà a carico del querelante ritengo, tuttavia, che la competenza della Corte non possa essere negata, e quindi che il ricorso non possa essere annullato.
Per quanto concerne la valutazione della rilevanza per la sicurezza di informazioni, secondo quanto stabilito dall'art. 17 (1° comma, sottocomma (a) e (b)), e se sia o meno passibile di giudizio, nei limiti da me precedentemente descritti, accoglierei le richieste dei querelanti.
Nel complesso il ricorso dovrebbe essere accolto, i querelanti dovranno tuttavia presentare un'ulteriore dichiarazione di denuncia, corretta. è mia opinione che i paragrafi 7A e 9A dove si parla di indagini iniziali ed informazioni iniziali debbano essere cancellati.

Il ricorso viene respinto con le spese a carico dei querelanti.


(*) La presente sentenza viene pubblicata con sintesi e traduzione a cura della Redazione.

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